Un tema tanto complesso quanto, purtroppo, scarsamente normato quello che abbiamo preso in esame nel nostro articolo uscito sulla Rivista Aiman di Giugno.
Un problema di fondo
Gli impianti tecnologici a servizio di un’azienda devono essere a prova di terremoto?
Dietro questa semplice domanda si celano una serie di aspetti tecnici e normativi complessi, che in Italia vengono in moltissimi casi ignorati. Se l’ingegneria civile negli ultimi vent’anni ha fatto passi da gigante nell’ambito della lotta al fenomeno sismico sia a livello normativa sia a livello progettuale, altrettanto non si può affermare per la compagine impiantistica.
Ai giorni nostri non esiste costruzione civile che possa essere edificata sul territorio nazionale, per le sue zone sismiche, senza che siano valutate le azioni sismiche a cui potrebbe essere soggetta e senza che le strutture portanti siano provviste di misure antisismiche e siano state dimensionate per resistere a tali azioni. Così non vale per gli impianti, i quali vengono realizzati nella maggior parte dei casi con sistemi di supporto e staffaggio capaci di resistere al solo peso proprio, senza considerare l’azione del terremoto. Si tratta ovviamente di un errore clamoroso, perché, all’insaputa di molti, le normative tecniche già da qualche anno obbligano a realizzare impianti e, in genere, elementi non strutturali, secondo precisi criteri sismici. A causa dei pochi controlli effettuati, capita spesso che tali requisiti siano del tutto disattesi.
Cosa specificano le NTC
Le Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC), nella loro versione vigente del 2018, riportano chiaramente che gli impianti siano tenuti a garantire requisiti di funzionalità e stabilità, in funzione della classe d’uso degli edifici nei quali sono installati.
La classe d’uso, introdotta dalle stesse NTC, divide gli edifici in quattro fasce in funzione della loro progressiva importanza: gli edifici in classe 1 sono quelli con presenza solo occasionale di persone; gli edifici in classe 2 prevedono normali affollamenti e, in ambito industriale, lavorazioni non pericolose. Salendo in classe 3 si trovano edifici con affollamenti significativi o industrie pericolose per l’ambiente. In classe 4 si hanno le costruzioni con funzioni pubbliche e strategiche e le industrie con attività particolarmente pericolose. Senza entrare troppo in questioni tecniche, basti sapere che per gli edifici di nuova costruzione in classe 2 è richiesto che gli impianti garantiscano la stabilità nei confronti dell’azione sismica. Per gli edifici nelle classi superiori 3 e 4 è richiesta oltre alla stabilità anche la funzionalità, ossia la capacità di non produrre interruzioni d’uso a seguito di un sisma.
Anche per un non addetto ai lavori pare evidente quanto questa richiesta sia onerosa in termini di interventi di adeguamento sismico. Molti di noi hanno ancora impresse nella memoria le immagini delle aziende dell’Emilia, scattate a seguito del terremoto del 2012: richiedere che un impianto tecnologico resista a terremoti di quell’entità e continui ad essere funzionante non è una sfida ingegneristica così semplice da affrontare.
Se tutto ciò ha valore per le nuove realizzazioni, cosa prevede la normativa per gli edifici esistenti? É necessario che gli impianti tecnologici al toro interno siano adeguati? La risposta è fornita ancora dalle NTC che chiariscono come gli interventi antisismici di adeguamento sugli impianti esistenti siano necessari quando “in aggiunta a motivi di funzionalità, la loro risposta sismica possa mettere a rischio la vita degli occupanti o produrre danni ai beni contenuti nella costruzione”. Secondo questa logica la maggior parte degli impianti contenuti in edifici di classe d’uso 3 o 4, quindi in aziende le cui lavorazioni possano essere definite pericolose, andrebbero adeguati.
Il fatto che questa normativa sia per certi versi ancora poco applicata è imputabile a vari fattori. In primis il fatto che si tratti di un codice destinato agli ingegneri civili e non agli impiantisti gioca un ruolo fondamentale. In secundis va ricordato che i controlli sono tuttora pochissimi, e limitati ad ambiti particolari, come ad esempio le aziende in campo Seveso. In tertiis vanno ricordate le difficoltà oggettive legate alla trasformazione di un impianto esistente, magari vecchio di anni, in un impianto in grado di funzionare durante il sisma. Nella maggior parte dei casi si tratta di una sfida impossibile: meglio smantellare l’esistente e rifare ex novo.
Una situazione complicata
A complicare il panorama normativo già abbastanza criptico, esiste un altro documento, risalente al 2011, redatto dalla Direzione centrale per la prevenzione e la sicurezza tecnica del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile. Si tratta di un guida tecnica intitolata “Linee di Indirizzo per la riduzione della vulnerabilità sismica dell’impiantistica antincendio”.
Mentre con il termine “impianto” le NTC 2018 fanno riferimento a una globalità di sistemi, intesi come impianto vero e proprio, dispositivi di alimentazione e collegamenti alla struttura principale, le “Linee Guida dei Vigili del Fuoco” (così come vengono soprannominate in gergo tecnico), forniscono indicazioni per quegli impianti definiti “antincendio”, che, come tali, sono funzionali alla salvaguardia della vita umana. Si tratta quindi di impianti idranti, sprinkler, illuminazione di sicurezza, ascensori antincendio e gruppi elettrogeni (a servizio di tali impianti). Più o meno impropriamente la guida è poi estesa agli impianti di adduzione di fluidi infiammabili e di adduzione di fluidi comburenti. Il documento nasceva con lo scopo di fornire chiarimenti e consigli progettuali pratici alla vecchia versione delle NTC, quella del 2008. Lo spirito è simile a quello delle NTC 2018, con l’implementazione di un parametro in più, quello della “pronta ripristinabililà” di un impianto a seguito del sisma.
Le linee guida VVF diversificano gli edifici in cui sono installati gli impianti in categorie (simili alle classi d’uso delle NTC) e, a seconda di una divisione discutibile del territorio nazionale in fasce ad alta e bassa pericolosità sismica, configurano gli interventi di adeguamento come “richiesti” o “consigliati”. Spesso, durante i controlli nelle aziende ad alto rischio, i Comandi Provinciali Vigili del Fuoco chiedono di ottemperare alle prescrizioni ivi contenute. Il documento, inoltre, fornisce una serie di accorgimenti progettuali che spesso traggono spunto da direttive internazionali, a partire dalle americane NFPA. Anche questo aspetto necessita di un approfondimento: molti produttori di impianti, in questo caso antincendio, offrono sistemi progettati secondo normative universalmente riconosciute. In alcuni casi sono invece le assicurazioni a richiedere questo o quell’approccio normativa.
Ma impianti calcolati secondo questi standard rispettano i criteri delle italiane NTC?
Conclusioni
Insomma, appare abbastanza chiaro che il tema dell’adeguamento sismico degli impianti, per contenere il problema del rischio sismico, è molto complesso e purtroppo ancora scarsamente normato. La confusione che regna è notevole, la disinformazione tra i progettisti è elevata e gli obblighi normativi in Italia sono, in molti casi, decisamente ambiziosi. É auspicabile che la nuova versione delle NTC chiarisca alcuni punti oscuri legati all’ambito prestazionale degli impianti. È altresì importante che normative tecniche di settore inizino a trattare il tema in modo più organico, prendendo spunto, perché no, anche da direttive internazionali di comprovata validità, frutto di un’esperienza progettuale in ambito sismico superiore alla nostra.
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